Il mio rapporto con la matematica nell’infanzia fu molto buono. Ricordo ancora come se fosse adesso, che per il mio quinto Natale ricevetti una lavagnetta magnetica con le cifre da 0 a 9. Adoravo quel regalo e quei numeri dai colori vivaci. Mi divertivo molto a combinare le cifre tra loro e poi chiedevo ai miei genitori quale numero avessi composto.
Grazie a quella lavagnetta imparai a contare fino a 10 e ciò permise di attutire l’impatto con la matematica al mio ingresso nella scuola elementare. Mi piaceva molto contare con l’abaco e mi divertivo ad usarlo oltre che a scuola, anche a casa con mia madre. Il mio rapporto con i numeri si mantenne buono anche negli anni successivi; svolgevo con piacere le quattro operazioni, anche se nutrivo una lieve antipatia per le divisioni. Anche le tabelline mi appassionavano e ricordo molto bene quando la mia maestra interrogava me ed i miei compagni di classe e noi dovevamo rispondere correttamente e nel minor tempo possibile. Un divertimento unico ed entusiasmante!
Un altro argomento che mi torna in mente spesso e volentieri sono le equivalenze, ad esempio quando vado a fare la spesa e mi trovo a dover decidere se acquistare la confezione di pasta da 500 grammi o quella da 1 chilogrammo. Immancabilmente mi scappa un sorriso, forse di nostalgia o forse di tenerezza. Purtroppo i problemi con la matematica iniziarono alla quinta elementare, quando affrontammo le famose “espressioni”. Tutto era nato dal fatto che la mia maestra sosteneva che l’importante fosse eseguire bene il ragionamento e che non le interessava il risultato finale dell’espressione; in pratica però non era così e ciò scaturiva in noi una certa confusione. Purtroppo il risultato finale dell'espressione era diverso per ognuno di noi, perché durante lo svolgimento del compito perdevamo o aggiungevamo qualche decina o qualche unità, ma il famoso ragionamento era esatto per molti di noi. Tutto ciò però alla mia insegnante sembrava non interessare molto poiché ci rimproverava sempre per il risultato errato dell’espressione. Questo fatto iniziò a creare un certo malessere in noi bambini e nello stesso tempo provocò frustrazione nella mia insegnante, innescando una sorta di circolo vizioso che fu impossibile interrompere. Iniziai a chiedermi se un dato numerico potesse essere davvero così importante, se il mio futuro di studentessa o di persona, o il mio giudizio potessero dipendere così tanto da un numero. A distanza di tempo la spiegazione che mi sento di dare è che alla quinta elementare la mia maestra iniziò a prepararci per la scuola media, purtroppo adottando un metodo a mio avviso opinabile. Lo consideravo e lo considero eccessivamente rigoroso, inefficace a livello didattico e troppo lontano dal metodo giocoso e partecipativo adottato ai tempi delle tabelline.
Alle scuole medie ebbi la fortuna di avere come docente di matematica un uomo severo ed esigente con noi alunni, ma sicuramente dai modi garbati. Aveva un carisma speciale, riusciva a catturare la nostra attenzione e noi studenti dal canto nostro, nutrivamo e nutriamo ancora per lui un sentimento di grande rispetto, oltre che di grande ammirazione. Nell’insegnamento coniugava bene teoria e pratica perché ciò che esponeva a lezione veniva accompagnato da un riscontro pratico; ci faceva toccare con mano quanto avesse spiegato in una lezione teorica.
Tentò di risollevare il mio rapporto con i numeri quando ormai questo sembrava compromesso. Ricordo che ci insegnava la geometria tanto con le definizioni da imparare a memoria (Teoremi di Pitagora e di Euclide), quanto a livello concreto facendoci realizzare delle figure geometriche con i cartoncini colorati.
Fu così che con pazienza e con costanza imparai a risolvere problemi e quesiti vari e quel numero, l’ossessivo numero finale che molte volte mi aveva perseguitato, pian piano cessò di farmi paura. In questo periodo capii che i numeri servivano a regolare la nostra vita e che con i numeri si giudicava il rendimento scolastico di un alunno, ma la persona in quanto tale non poteva e non doveva essere giudicata con un numero, ne’ tantomeno si doveva mai sentire giudicata da esso. Come ho già detto, il mio professore delle scuole medie tentò di risollevare il mio rapporto con la matematica e devo ammettere che ci riuscì ma solo in parte, perché quando dovetti scegliere la scuola superiore da frequentare mi accertai, prima di ogni cosa, quante ore di matematica ci fossero da seguire. La mia scelta quindi si orientò verso l’Istituto Magistrale perché nell’arco della settimana le ore di matematica erano solo quattro. Non mi sembrava vero!Purtroppo anche quando frequentai l’Istituto Magistrale non fui fortunata con la matematica perché cambiai i professori di questa materia per ben cinque volte. Ognuno di loro aveva un metodo diverso e noi studenti, di volta in volta, dovevamo adattarci a questo o quel criterio d’insegnamento. Nessuno dei professori di matematica pensò a noi studenti e a quanto questo loro succedersi negli anni sulla stessa cattedra, ci avesse di fatto impedito di acquisire e di applicare un metodo univoco nel corso degli studi. Cominciai a considerare la matematica come un’opinione, purtroppo un’opinione negativa. Ciò contribuì a condizionare la mia scelta per la facoltà universitaria alla quale dovermi iscrivere. Da un lato, avendo frequentato l’Istituto Magistrale, erano nate in me la passione per la filosofia e la pedagogia e dall’altro il rapporto con la matematica si rivelò definitivamente compromesso, rendendo la mia scelta quasi ovvia.
Scelsi una facoltà umanistica pensando di dire addio alla matematica. Mi iscrissi a Scienze dell’Educazione, ma sorprendentemente nel piano di studi c’erano due esami di statistica da sostenere. Con grande stupore e meraviglia li superai già al primo tentativo e con voti più che buoni. Sapevo che c’era in me una passione per la matematica, del resto si era capito già ai tempi della lavagnetta magnetica e più tardi con le tabelline, ma purtroppo fu inibita troppo presto. Ancora adesso questa materia suscita in me un certo fascino. Ne apprezzo gli studiosi, i giovani ricercatori, i fisici e tutti quelli che operano in questo campo; a loro va tutta la mia stima e la mia ammirazione, ma permettetemi di dire anche un po’ d’invidia. Una cosa deve essere chiara: non mi pento assolutamente della scelta che ho fatto e che farei ancora. I miei studi sono stati gratificanti ed interessanti e di ciò non posso che esserne soddisfatta.
Spero vivamente che "da grande" riuscirò a diventare un'insegnante, anzi no, una brava insegnante, magari evitando ai miei alunni dispiaceri e amarezze provati nei miei trascorsi di studentessa.
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